pecore pastore (19) buona 

Alessandro Monchietto

Tratto da: “Marxismo e Filosofia in Costanzo Preve” – edizioni  Petiteplaisance

 Prima di dedicarci allo studio del cosiddetto “materialismo” di Marx, vorrei fare un breve accenno alla questione dell’alienazione (Entfremdung, Entäusserung) in Marx. Si tratta di una nozione centrale nel pensiero del giovane Marx, che però di fatto non ritorna più nelle opere della maturità.

Nella storia del marxismo, nei confronti di questo tema vi sono stati (e vi sono tuttora) sostanzialmente due atteggiamenti: alcuni affermano che questa nozione non ritorna più poiché Marx l’ha volutamente abbandonata, avendo realizzato una “rottura epistemologica” che abbandonava integralmente ogni concetto idealistico di origine hegeliana e/o feuerbachiana in favore di una concezione strutturale dei rapporti sociali di produzione; altri (come il  filosofo torinese Costanzo Preve) sostengono invece che questa nozione filosofica non ritorna più non perché Marx l’avesse ripudiata, abbandonata o “superata”, ma perché l’aveva per così dire “metabolizzata” e incorporata nel suo procedimento di pensiero.

Lo stesso concetto di alienazione può essere inteso in modi diversi. In un primo significato, alienazione significa abbandono progressivo di una situazione originaria per definizione pura, ed appunto ancora non “alienata”. Come sappiamo, questo significato è caratteristico del pensiero religioso che per definizione è un pensiero dell’Origine, non solo perché Dio come Creatore è all’Origine del mondo, ma anche perché la storia umana è una storia per definizione peccaminosa in quanto si “distacca” dalla sua origine, cui si tratterebbe appunto di ritornare e di restaurare in tutta la sua incorrotta purezza. In quest’ottica, quando si scopre (ed è il caso di Lucio Colletti) che la teoria dell’alienazione è strettamente intrecciata con la teoria del valore, e che quindi non è possibile separare un Marx scienziato da un Marx fortemente influenzato dal pensiero hegeliano e dialettico, si è fatalmente portati a vivere il marxismo semplicemente come una secolarizzazione dell’escatologia giudaico-cristiana, situazione che non può che concludersi con un congedo definitivo da Marx e dal marxismo in generale.

Preve non nasconde che questa “grande-narrazione abbia caratterizzato il marxismo storicamente esistito[..], perché il marxismo è fondamentalmente stato un’ideologia di una classe profondamente subalterna34, e le classi subalterne tendono spontaneamente e con ineluttabilità magnetica ad una concezione religiosa del mondo”35. Ma a suo parere Marx riteneva l’ente naturale generico alienato non tanto rispetto ad una sua origine, quanto rispetto alle sue possibilità ontologiche ed antropologiche: “La nozione centrale del concetto di alienazione in Marx non è quello di ‘origine’ (archè), ma quello di ‘possibilità’, più esattamente di ‘essente-in-possibilità’(dynamei on)”36. In quest’ottica il termine alienazione (Entfremdung) non deve essere concepito in rapporto a un’origine perduta nel ciclo della peccaminosità umana, ma deve essere invece più sobriamente inteso come estraniazione dalle concrete possibilità ontologiche di una vita sensata. Per Preve, “l’alienazione è tale solo in rapporto alle potenzialità immanenti (dynamei on) dell’ente naturale generico (Gemeinswesen, Gattungwesen)”37.

Come si può notare, l’interpretazione previana è opposta rispetto alla precedente; invece di legare il pensiero marxiano alla tradizione giudaico-cristiana, Preve segnala l’innegabile influenza esercitata dal pensiero greco (ed in particolare aristotelico) su Marx. Per Preve, in contrasto con una corrente di pensiero spesso prevalente, è Aristotele, assai più di Platone, il pensatore antico che ha di fatto ispirato maggiormente Marx. Riferendosi alle analisi di Michel Vadée 38, il filosofo torinese asserisce che “la categoria che forse indica maggiormente l’influenza di Aristotele su Marx è quella di ‘possibilità oggettiva’, o più esattamente di ‘potenzialità immanente’ (dynamei on). Possibilità che non ha nulla a che vedere con la semplice casualità o contingenza (katà to dynatòn). In Marx il passaggio dal capitalismo al comunismo, che in genere è stato inteso e concepito come un passaggio ‘necessario’, nel senso di fatale e ferreamente predeterminato, è invece pensato (e le analisi di Vadée sono qui particolarmente convincenti) secondo la modalità aristotelica del passaggio dalla potenza (dynamis) all’atto (energheia). In questo passaggio non c’è nessuna necessità, ma neppure nessuna contingenza assoluta intesa di fatto come ‘casualità aleatoria’, secondo l’impostazione dell’ultimo Althusser”39.

In quest’ottica Marx viene interpretato come un pensatore aristotelico della possibilità ontologica, e non come un pensatore del determinismo positivistico e della connessa concezione necessitaristica di scienza; il comunismo perciò “resta una possibilità ontologica interna agli sviluppi sociali del capitalismo, non certo un esito necessariamente veicolato da aumenti della composizione organica del capitale, cadute tendenziali del saggio di profitto, crescite esponenziali della coscienza di classe operaia e proletaria e via fantasticando e auspicando soluzioni provvidenziali in chiave economicistica e/o sociologistica della storia”40.

Secondo Preve, un altro punto in cui è possibile constatare quanto l’eredità aristotelica abbia influito su Marx è la nozione marxiana di natura umana; come viene fatto notare, “tutta l’antropologia filosofica di Marx, e cioè la sua concezione della natura umana in società,[..] coincide pressoché al cento per cento con la teoria di Aristotele sull’uomo come essere per natura politico, sociale e comunitario (politikòn zoon) e come essere dotato di ragione, linguaggio e capacità di calcolo scientifico (zoon logon echon)41. Questo fa di Marx una sorta di aristotelico moderno, se pensiamo che invece tutto il pensiero politico detto ‘moderno’ [..] nasce con Thomas Hobbes con una radicale e provocatoria inversione di prospettiva (rispetto all’antropologia aristotelica,N.d.A.)”42.

Riallacciandomi a quest’ultima citazione, ritengo necessario soffermarmi su un concetto finora poco trattato, ossia la nozione di Gattungswesen. Secondo Preve, utilizzando il termine Gattungswesen (che si può tradurre come “essenza del genere”, o meglio come “essenza umana generica”) Marx intende dire che l’uomo, a differenza degli altri animali, non ha un’essenza specifica che si trasmette per eredità naturale, ma ha un’essenza aperta che gli permette di costituire forme diversissime di socialità.Per chiarire meglio la questione, credo sia necessario soffermaci su questa citazione tratta da Marxismo e filosofia: “Quando parliamo di alienazione, cioè di cessione e di perdita, bisogna subito dire chi è che aliena e che cosa aliena. Chi aliena è l’uomo, e non l’uomo naturale sebbene l’uomo già storicamente costituito (e non c’è dunque nessuna paura di cadere nel naturalismo astorico o nell’umanesimo astratto interclassista), e ciò che aliena è la sua essenza umana generica (Gattungswesen). Egli non aliena dunque solo la sua essenza umana, che è l’insieme dei rapporti di produzione, e non comprende l’elemento naturale e biologico della sua costituzione antropologica complessiva, ma aliena qualcosa di più, la sua essenza umana generica, in cui ciò che conta veramente è la parola ‘generica’. La parola ‘generico’ si contrappone alla parola ‘specifico’. Le termiti non si alienano assolutamente nel loro termitaio, così come le api non si alienano assolutamente nel loro alveare. Come si vede, il concetto di essenza umana non deve essere confuso con quello di natura umana, che è più ampio, e comprende una sintesi di naturale e di storico, mentre l’essenza umana è solo storica, e chi si ferma ad essa sbocca in un povero sociologismo.

Anche la natura è ovviamente storica, ma la sua storicità è più lenta, e dunque l’uomo antropologicamente è l’unione di due temporalità distinte anche se interconnesse. Proprio perché l’uomo è un ente naturale generico il capitalismo lo aliena, perché lo strappa alla sua genericità e lo rende specifico, cioè specifico ai soli rapporti capitalistici di produzione, che vengono appunto specificati, nel senso di animalizzati ”43. A differenza degli animali, che sono biologicamente specifici, cioè predeterminati a ruoli e comportamenti direttamente dettati dal loro imprinting biologico, l’uomo è generico, non è vincolato a nessuna riproduzione fissa e specifica, ed appunto per questo si può alienare, estraniare, ma anche deificare, cosa che ovviamente l’animale non può fare44. A proposito della storicità dell’uomo, Preve afferma che “proprio dal fatto che la cosiddetta ‘essenza umana’ è storica e non naturale, la natura umana è vista come un Gattungswesen, cioè come caratteristica dell’uomo come ente naturale generico e non specifico, o più esattamente che si specifica storicamente solo sulla base di una genericità costitutiva precedente. In quanto ente naturale generico, l’uomo non è geneticamente prefissato a dar luogo a una e una sola forma di oggettivazione sociale. [..] L’ente naturale generico, cioè la Gattungswesen, che costituisce l’uomo come essere inscindibilmente naturale e sociale, permette all’uomo la storicità, che non è soltanto l’infinita produzione di configurazioni storiche e sociologiche diverse, ma è anche il luogo della perdita e del ritrovamento di se stesso.”45.

Come si può facilmente intuire, per Preve il fatto che l’essenza umana sia storica e non naturale non significa che la natura umana non esista. Molti filosofi credettero al contrario che Marx avesse sostenuto la tesi per cui la natura umana non fosse altro che l’insieme dei rapporti sociali, e lo avrebbe fatto per criticare coloro che sostengono invece una teoria dell’immutabilità della natura umana per giustificare la conservazione dei vecchi rapporti sociali. Questi pensatori marxisti sostennero che la natura umana in sé non esiste, o meglio esiste solo nella successione storica dei comportamenti sociali, e quindi il comportamento sociale comunista è antropologicamente possibile purché lo si voglia e lo si generalizzi con l’abitudine, l’educazione ed anche (se necessario) con la coercizione. Questa corrente di pensiero, maggioritaria per tutto il novecento, propugnò così una concezione prometeica in cui la malleabilità illimitata della natura umana socialmente condizionata fu vista come il presupposto di una creatività onnilaterale.

Ma come fa notare Preve, “qui si nasconde un tranello, in quanto purtroppo Prometeo ed il Grande Fratello abitano nello stesso appartamento. Il presupposto della creatività illimitata è filosoficamente affine, contiguo ed omologo al presupposto della manipolazione illimitata. Creatività illimitata e manipolazione illimitata vivono sotto lo stesso tetto. A differenza di come credono ingenuamente i relativisti sociologistici,[..] la sola garanzia contro la possibilità della manipolazione illimitata politica e sociale sta nella resistenza innata della natura umana”46. Negare ogni rilevanza al concetto ed alla realtà della natura umana significa consegnarsi alla manipolazione, la cui premessa sta proprio nella possibilità di “modellare” senza limiti la natura umana stessa, non importa se nella forma del consumo eterodiretto oppure nella forma del dispotismo burocratico. Come scrive il nostro autore, “chi nega la natura umana, e lo fa ‘da sinistra’ convinto che si tratti di un concetto conservatore e reazionario (confondendo così l’uso ideologico del concetto con la sua pertinenza filosofica e ontologica), non capisce purtroppo che proprio il carattere generico della natura umana stessa è il principale fattore di impedimento alla stabilizzazione di una dittatura manipolatrice”47.

Vorrei chiudere questo paragrafo dedicato al concetto di ente naturale generico e di alienazione con una citazione, che in maniera molto chiara e concisa, riassume i termini essenziali della questione: “Se è vero che l’uomo è un ‘ente naturale generico’ (Gattungswesen) allora è ‘alienata’ qualunque situazione che gli vuole imporre come cosa irrigidita, immutabile e deificata, una situazione storica determinata (che sia lo stalinismo o la globalizzazione)”48.

Note
32 C.Preve, Storia critica del marxismo, op. cit., p. 120
33 C.Preve, Il pensiero di Marx e l’eredità degli antichi Greci, op. cit., p. 94
34 Questo tema verrà esaurientemente sviluppato nel prossimo capitolo
35 C.Preve, Storia critica del marxismo, op. cit., p. 105
36 C.Preve, Storia critica del marxismo, op. cit., p. 106
37 C.Preve, Storia critica del marxismo, op. cit, p. 143
38 Vedi in particolare: M.Vadée, Marx penseur du possible, Meridiens, Paris 1992
39 C.Preve, Il Marxismo e la tradizione culturale europea, op. cit., p. 63
40 C.Preve, Marx inattuale, op. cit., p. 181
41 Preve fa esplicitamente riferimento ad un brano dei Lineamenti in cui Marx scrive: “L’uomo è nel senso più letterale del termine uno zoon politikòn, e non solo un animale socievole (ein geselliges Tier), ma un animale che non può costituirsi come individuo singolo (sich vereinzeln) che nella società [..] l’uomo non si individualizza che nel corso di un processo storico. In origine egli apparecome un ente generico (Gattungswesen), un ente tribale (Stammwesen), un animale gregario (Herdentier), ma per nulla come un politikòn zoon vero e proprio”. [Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 98]
42 C.Preve, Il Marxismo e la tradizione culturale europea, op. cit., p. 55-56
43 C.Preve, Marxismo e filosofia, Editrice C.R.T., Pistoia 2002, pp. 105-106
44 Secondo Preve, Marx avrebbe in questo caso ereditato un’idea presente già nell’umanesimo rinascimentale, ed in particolare in Marsilio Ficino [“Potest homo esse humanus deus, aut humana bestia, aut aliud qudcumque”].
45 C.Preve, Marx inattuale, op. cit., p. 160
46 C.Preve, Individui liberati, comunità solidali, Editrice C.R.T., Pistoia 1998, p. 12
47 C.Preve, Marx inattuale, op. cit., p. 161
48 C.Preve, Marx inattuale, op. cit., pp. 165-166