da: “Moneta di sangue” di Britton Johnston (vedi blog)

Molto di questo estratto si deve al “Saggio sul dono” di Marcel Mauss, che anche Bataille e Caillois rielaborarono  attraverso il concetto di “depence” , ma in modo per certi versi opposto a quello di Johnston: dove quelli vedevano la società industriale come assenza di sacrificio improduttivo (senza vedere il tritacarne che macina umanità, a tutti i livelli, ogni giorno) , Johnston più correttamente ne vede  l’occultamento e  la funzione produttiva.

Vorrei specificare che, a mio modo di vedere, non esistono “ragioni puramente materiali”, come riferisce l’autore, come non ne esistono di “puramente spirituali”. Realtà empirica, immanente e trascendente sono tre attributi concomitanti e inestricabilmente legati della prassi sociale umana: una attribuzione può in un certo  momento sembrare più o meno preminente  ma  rimane sempre consustanziale e in rapporto dinamico  con le altre.

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Molto si conosce sulle realtà materiali sottostanti al sorgere dell’agricoltura, ma gli archeologi ammettono di non aver elaborato alcuna teoria adeguata circa il perché l’agricoltura sorse. Ragioni puramente materiali non sono in grado di spiegare l’evidenza. Occorrono molti anni perché le prime pratiche di agricoltura possano raggiungere un livello di perizia tale che le calorie consumate dal lavoro produttivo possano ritornare nella forma di calorie derivanti dal cibo prodotto. [9] Molti antropologi sostengono che la qualità e varietà del cibo mangiato dai cacciatori-raccoglitori sono superiori a quelli della dieta delle culture agricole primitive. Per produrre il cibo di cui hanno bisogno per sopravvivere, i cacciatori-raccoglitori mediamente impiegano molte meno ore di lavoro a settimana rispetto alle popolazioni agricole. [10] Se essi dunque avevano cibo in abbondanza (e sembra che lo avessero), perché avrebbero dovuto dedicare fatica a produrne di più? Ma se invece ne avevano scarsità, perché avrebbero sacrificato quella poca energia residua di cui disponevano per creare un sistema di produzione di cibo che non avrebbe reso benefici materiali prima di centinaia di anni? Noi sappiamo come è emersa l’agricoltura, ma non possiamo immaginarne il perché. Tutte le spiegazioni materialistiche non reggono. Gli archeologi sono sconcertati. [11] In un altro rompicapo che ha tormentato gli antropologi, l’associazione tra morte e fertilità si trova ovunque in tutte le società agricole primitive. [12] Il culto della fertilità più significativo del Vicino Oriente antico era il culto di Baal, il dio della tempesta e della fertilità della terra portata dalla pioggia. Baal era anche il dio a cui gli antichi Israeliti furono tentati di sacrificare i loro figli (II Cronache 28, 1-4; Geremia 19,1-6). I Greci veneravano la dea della fertilità Cibele, le cui adoratrici femminili facevano a brani le loro vittime maschili per rinnovare la fertilità della terra. I Celti ogni cinque anni sacrificavano criminali condannati, nella credenza che quante più vittime fossero sacrificate, tanto maggiormente sarebbe stata rinnovata la fertilità della terra. Gli Aztechi praticavano rituali della fertilità implicanti il sacrificio umano, che comprendevano il sollevamento del cuore della vittima verso il cielo che aiutava il nuovo mais a crescere sempre più alto. Gli Aztechi avevano anche un rituale della fertilità in cui sacrificavano una bella ragazza alla dea della fertilità Chicomecohuatl. Dopo che il sangue della ragazza aveva bagnato un altare coperto di mais, verdure e semi, il suo corpo veniva scuoiato e la sua pelle era indossata come una veste da un sacerdote danzante.[13] Il problema che l’antropologia incontra a spiegare la nascita dell’agricoltura sorge perché gli uomini moderni partono dal presupposto che per la sua nascita vi deve essere una spiegazione strettamente materiale.

Io propongo una spiegazione religiosa, secondo la quale l’agricoltura deve essere nata più o meno così: Una popolazione isolata si sforza di mantenere la pace al suo interno tramite la religione sacrificale; ma trattandosi di un gruppo piccolo ed isolato i suoi membri trovano che la loro disponibilità di vittime sacrificali è insufficiente per i loro bisogni. Essi devono trovare un modo per estendere l’efficacia del loro altare o periranno. Essi creano allora dei rituali per arricchire il sacrificio, particolarmente riti di sepoltura in cui col cadavere seppelliscono doni: feticci, ricchezze, cibo. Il cibo viene posto alla sommità del tumulo come offerta allo spirito della vittima. Sul terreno smosso della tomba vengono sparsi i semi che solitamente si raccolgono per cibarsene. L’autunno seguente, i membri della comunità scoprono che i semi hanno originato una messe di cibo proprio sopra il luogo in cui la vittima è stata sepolta. Quegli uomini sono certi che questo sia un dono da parte del dio, e sanno che mangiando questo grano sacro essi parteciperanno di nuovo al sacrificio. [14] Al tempo del sacrificio seguente, essi spargono più grano, forse smuovendo più ampiamente il terreno intorno alla sepoltura per dare allo spirito una maggiore possibilità di espandersi. Alla fine essi si trovano a rivoltare interi campi e a piantare come se ciò fosse parte del rituale sacrificale. Quando raccolgono il grano sacro sperimentano il favore del dio e sentono che avranno la pace. Nel condividere il grano, rinnovano l’esperienza della morte della vittima e della pace e vita che il sacrificio garantisce. Dopo diverse generazioni in cui ha corso questa pratica religiosa, si scopre che per suo mezzo può essere generato un grande surplus di cibo. Il surplus rende possibile l’elaborazione della cultura. Sorge la civiltà.

Quando gli archeologi moderni vedono i santuari dedicati agli dèi della fertilità, essi presuppongono che il sacrificio sia una superstizione volta ad incrementare il raccolto. E’ vero l’opposto: il raccolto è nato per incrementare il sacrificio.