olivone norianino cortecce (22)Un mio commento che ho postato in coda a questo thread.

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Certo la matassa da stricare è oggi molto aggrovigliata, va riconosciuto il merito a  Tonguessy e commentatori che ci provano e in parte ci riescono, aggiungo due cose  sparse.
 
Una prima distinzione: il pensiero di sinistra e quello marxiano non si abbeverano alla stessa sorgente né nascono con rivendicazioni  identiche. L’ uno rimanda ai principi e ai fatti del 1789 e all’illuminismo, l’altro  al 48 e al  71 (tutte rivolte presto fallite) e ai principi dialettici del idealismo tedesco in parte corretti nel materialismo storico.
 
Dove Marx contestava Saint-Simon, Blanqui, Proudhon, fisiocratici, programmi di  Gotha e denunciava in tempo reale i limiti di un certo feticismo economico-sindacale e  statalista-democratico, Lassalle Kautsky ed Engels fondavano la socialdemocrazia  tedesca.
 
Un po’ più tardi, le grandi pressioni poste dalla prassi sociale che Lenin  riuscì a stento a contenere nel  periodo 1917-21 trovarono adeguata espressione nel avvento di Stalin.
 
Da questi due momenti in poi sinistra politica e epigoni marxiani sono paradossalmente assimilabili.
 
Per quanto importanti siano le influenze geo-politiche per il peso che hanno sempre avuto nella storia  nazionale ed europea, poiché quello che manca è una reale autonomia di pensiero ( e  di classe, di soggettività antagonista, in assenza della stessa) preferisco, lo  prescrivo per me stesso, circoscrivere l’indagine al processo dialettico interno alla  sinistra e al comunismo italiani ed europei del 900, intesi come ultimo momento formalmente antagonista alla saturazione capitalista.
 
Mi pare che l’ oscillazione ideologica fra evoluzione socialdemocratica  o sovietica sia solo apparente: a Yalta la  determinazione di campo per l’Italia fu più che chiara,  ma si decise (la “doppiezza” togliattiana) di  non assumerla responsabilmente e di non farne cosa di dominio pubblico. Conseguentemente il “comunismo”  del PCI da allora in poi fu solo un mito di mobilitazione delle masse, così insostenibile e  sottile da essere presto soppiantato da un altro mito, più concreto e mobilitante: l’ antifascismo.
 
Falsa anche la concomitante  opposizione fra economie: collettivismo stalinista e  capitalismo privatista in declinazione socialdemocratica, sono polarità solo  grossolanamente antagoniste, unite  intrinsecamente dalla accettazione della stessa  fenomenologia: merce, denaro, mercato, stato burocratizzato -oppure società civile  statalizzata- come forme di sviluppo dinamico dell’ accumulazione originaria, in assenza  o in presenza controllata di concorrenza fra capitali.
 
La socialdemocrazia non è mai stata  una terza via, era real politik: certo si accordava  istantaneamente  con le esigenze dell’ esistente prassi sociale incentrata sul profitto,  anche nei suoi momenti dialettici di monetizzazione sindacale del conflitto di classe.
 
Prediligo dare precedenza all’ analisi dei processi interni, sociali ed ideologici,  di mutazione “antropologica” (Pasolini con quella definizione non ci ha fatto un favore: preferisco dire adattamento storico-sociale) dei vertici e della base politica, qui trascurata.

Non mi concentrerei invece sui complotti  Cia, i persuasori occulti o i cedimenti etici interni:  evocare “l’eterno principio corruttore esogeno” è, per il pensiero  di sinistra e comunista novecentesco, abitudine fissa, ci si attorciglia nella immancabile tautologia  di marca moralista, impedendo così libere -e spregiudicate, perché  lo richiede il momento e non per amore del velleitario- analisi critiche e le auspicate sintesi politiche.
 
Direi, per riassumere, che in Italia le mendaci opposizioni dialettiche del secolo breve  sono durate più a lungo che altrove, ma hanno trovato (la storia del PCI è esemplare) uno  svincolo più rapido e assoluto una volta che la prassi sociale le ha definitivamente accantonate (vicenda ben riassunta da quella di Napolitano)
 
A mio avviso bisogna proprio sbarazzarsi criticamente della sinistra e del comunismo novecentesco: in  particolare proprio dell’ immagine, di quella particolare rappresentazione  del conflitto di classe -per come la storia passata lo ha configurato- che ha il proprio centro nel comprensibile ma oggi ininfluente aspetto fortemente resistenziale.

 Proprio perché oggi non possiamo che usare categorie già fatte proprie dal dominio, questo è per noi il cerchio di gesso da trapassare.
 
Dopo che non rimarrà pietra su pietra dell’ edificio concettuale della sinistra e del comunismo novecentesco potremo forse, se i tempi lo richiederanno,  conservare-superare alcune categorie di quel pensiero.

*Sul tema del congedo, anzi, detto meglio: del congedo dal congedo, si veda anche Costanzo Preve QUI