Un mio commento che ho postato in coda a questo thread.
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Certo la matassa da stricare è oggi molto aggrovigliata, va riconosciuto il merito a Tonguessy e commentatori che ci provano e in parte ci riescono, aggiungo due cose sparse.
Una prima distinzione: il pensiero di sinistra e quello marxiano non si abbeverano alla stessa sorgente né nascono con rivendicazioni identiche. L’ uno rimanda ai principi e ai fatti del 1789 e all’illuminismo, l’altro al 48 e al 71 (tutte rivolte presto fallite) e ai principi dialettici del idealismo tedesco in parte corretti nel materialismo storico.
Dove Marx contestava Saint-Simon, Blanqui, Proudhon, fisiocratici, programmi di Gotha e denunciava in tempo reale i limiti di un certo feticismo economico-sindacale e statalista-democratico, Lassalle Kautsky ed Engels fondavano la socialdemocrazia tedesca.
Un po’ più tardi, le grandi pressioni poste dalla prassi sociale che Lenin riuscì a stento a contenere nel periodo 1917-21 trovarono adeguata espressione nel avvento di Stalin.
Da questi due momenti in poi sinistra politica e epigoni marxiani sono paradossalmente assimilabili.
Per quanto importanti siano le influenze geo-politiche per il peso che hanno sempre avuto nella storia nazionale ed europea, poiché quello che manca è una reale autonomia di pensiero ( e di classe, di soggettività antagonista, in assenza della stessa) preferisco, lo prescrivo per me stesso, circoscrivere l’indagine al processo dialettico interno alla sinistra e al comunismo italiani ed europei del 900, intesi come ultimo momento formalmente antagonista alla saturazione capitalista.
Mi pare che l’ oscillazione ideologica fra evoluzione socialdemocratica o sovietica sia solo apparente: a Yalta la determinazione di campo per l’Italia fu più che chiara, ma si decise (la “doppiezza” togliattiana) di non assumerla responsabilmente e di non farne cosa di dominio pubblico. Conseguentemente il “comunismo” del PCI da allora in poi fu solo un mito di mobilitazione delle masse, così insostenibile e sottile da essere presto soppiantato da un altro mito, più concreto e mobilitante: l’ antifascismo.
Falsa anche la concomitante opposizione fra economie: collettivismo stalinista e capitalismo privatista in declinazione socialdemocratica, sono polarità solo grossolanamente antagoniste, unite intrinsecamente dalla accettazione della stessa fenomenologia: merce, denaro, mercato, stato burocratizzato -oppure società civile statalizzata- come forme di sviluppo dinamico dell’ accumulazione originaria, in assenza o in presenza controllata di concorrenza fra capitali.
La socialdemocrazia non è mai stata una terza via, era real politik: certo si accordava istantaneamente con le esigenze dell’ esistente prassi sociale incentrata sul profitto, anche nei suoi momenti dialettici di monetizzazione sindacale del conflitto di classe.
Prediligo dare precedenza all’ analisi dei processi interni, sociali ed ideologici, di mutazione “antropologica” (Pasolini con quella definizione non ci ha fatto un favore: preferisco dire adattamento storico-sociale) dei vertici e della base politica, qui trascurata.
Non mi concentrerei invece sui complotti Cia, i persuasori occulti o i cedimenti etici interni: evocare “l’eterno principio corruttore esogeno” è, per il pensiero di sinistra e comunista novecentesco, abitudine fissa, ci si attorciglia nella immancabile tautologia di marca moralista, impedendo così libere -e spregiudicate, perché lo richiede il momento e non per amore del velleitario- analisi critiche e le auspicate sintesi politiche.
Direi, per riassumere, che in Italia le mendaci opposizioni dialettiche del secolo breve sono durate più a lungo che altrove, ma hanno trovato (la storia del PCI è esemplare) uno svincolo più rapido e assoluto una volta che la prassi sociale le ha definitivamente accantonate (vicenda ben riassunta da quella di Napolitano)
A mio avviso bisogna proprio sbarazzarsi criticamente della sinistra e del comunismo novecentesco: in particolare proprio dell’ immagine, di quella particolare rappresentazione del conflitto di classe -per come la storia passata lo ha configurato- che ha il proprio centro nel comprensibile ma oggi ininfluente aspetto fortemente resistenziale.
Proprio perché oggi non possiamo che usare categorie già fatte proprie dal dominio, questo è per noi il cerchio di gesso da trapassare.
Dopo che non rimarrà pietra su pietra dell’ edificio concettuale della sinistra e del comunismo novecentesco potremo forse, se i tempi lo richiederanno, conservare-superare alcune categorie di quel pensiero.
*Sul tema del congedo, anzi, detto meglio: del congedo dal congedo, si veda anche Costanzo Preve QUI
La parte finale sembra un paradosso Da; evochi un Germinal (..nel senso del calendario rivoluzionario) che ci liberi delle 2 categorie e nelle parole di leggere il Germinal di Zola nel dialogo tra Etiennne e Souvarine che attacca la prima internazionale
“… il vostro Marx … piuttosto appiccicate il fuoco ai quattro angoli della città … e quando di questo mondo marcio non resterà più nulla, forse … chissà…”
ed è una splendida esemplificazione di un dialogo otto-novecentesco!
Capisco (mi sembra almeno) quel che vuoi dire, ma mi mancano 2 elementi: una prassi politica (o almeno l’indicazione di essa) e l’inevitabile rispetto dell’eredità storica. Nulla nasce da nulla e la cartina di tornasole non potrà essere il solo il pensiero; ma almeno un comune costruito?
Ciao
Ciao Aiace!
“Paradossalmente, si tratta del solo modo di essere realmente fedeli ad una tradizione.”
dice Preve nell’intervista linkata.
Questa frase potrebbe bastare da sola a chiarire il senso del post ed anche ad escludere qualsiasi deriva iconoclastica, irrazionalistica o anti-umanistica.
ora non posso,non ho tempo di connessione, ti risponderò più diffusamente nel fine settimana
In questo commento si incrociano diverse riflessioni che sto facendo in questo periodo, che si sono agglutinate attorno al post di “Appello al popolo”, senza la cui spinta non avrei scritto un bel niente.
Su cosa si interroga il ciclo di post “Sbarazzarsi della sinistra”? Il redattore si chiede del perché le tesi politiche del pensiero di sinistra (uguaglianza, progresso, libertà ecc) – e comprendendo al suo interno anche il pensiero più radicale, quello comunista, hanno fallito il mandato storico, o semplicemente le speranze, che gli avevano affidato le classi subordinate.
Mi sembrava quindi opportuno chiarire che il pensiero comunista, nel senso di Marx e Lenin, a mio avviso segna differenze sostanziali da quello della sinistra borghese, differenze che si annullano solo dopo Marx (socialdemocrazia tedesca) e dopo Lenin (stalinismo comunista). Sono queste due le esperienze esaurite, non certo il pensiero di Marx -che non vi ha messo piede.
Questa distinzione coincide cronologicamente con il salto di secolo tra 800 e 900, ma è ovvio che è l’incostante e eteronomo sviluppo storico del capitalismo che segna la reale differenza.
Questo andava assolutamente detto in un blog schierato per la riconquista della sovranità nazionale, dove paradossalmente si parla di “amore della patria e del popolo” (temi cari al populismo – la cui variante grande russo fu poi sfruttata da Stalin) e di esperienze socialistiche all’ interno del capitalismo (cioè il minimo sindacale di un programma socialdemocratico).
Non si pongono troppi problemi neanche riguardo la centralità che assume, non a caso, lo Stato in entrambe le concezioni, Stato il cui ruolo è determinante negli specifici processi di accumulo, da cui solo poi e secondariamente discendono i processi di redistribuzione. Siamo sempre al lavoro vivo che ingrassa il lavoro morto.
Sia ben inteso che dico questo senza nessuna ironia: questo non è un esempio dello sciocco e sterile esercizio della critica ex-post alla storia e ripongo più dubbi che certezze riguardo l’uso dell’ analogia storica. Proprio per questo non digerisco le tautologie riguardo alla corruzione di un pensiero originario che si è imborghesito in associazione a quella dell’ onnipresente complotto imperialista a stelle e strisce -per come si sviluppavano nei commenti dei lettori.
Ma veniamo a quello che mi chiedi tu, cioè riguardo alla tradizione e alla prassi.
Un poco ne ho parlato prima: la tradizione a cui mi rifaccio si fonda su un anticapitalismo radicale nel senso di radicato ontologicamente: è la natura umana, il suo coniugarsi profondo nel seno della storia che le hanno dato alcuni filosofi tra cui anche Marx, ad essere incompatibile con lo stato delle cose. Non riprendo in questa sede il discorso su cosa sia la natura umana, in questo blog la problematica è stata posta in molte occasioni.
Questa incompatibilità radicale né il pensiero della sinistra borghese socialista e/o democratica né il marxismo-leninismo (postumo a Marx come a Lenin) la hanno mai contenuta, se non come eresia o ininfluente minoranza (Labriola, Kosik, Lukacs, alcuni tra i francofortesi, Preve, Bontempelli e non molti altri).
A mio avviso le rivendicazioni sulla redistribuzione o i dibattiti sulla ineffettualità della democrazia rappresentativa sono chimere se prive del punto di vista umano che a mio avviso si esprime nella consapevolezza critica (o magari solo nel doloroso sentore esistenziale) della ristrettezza di cui soffrono i rapporti tra uomini sussunti sotto il Capitale .
Quando parlo di rapporti, quando Marx parlava di rapporti, parlo di rapporti sociali ovverosia umani. I rapporti di produzione sono rapporti che producono umanità univocamente alienata a cui corrisponde la produzione di oggetti implacabilmente mercificati.
Ma veniamo alla prassi, che poi è il punto che riassume il tutto. Non ho capito se mi chiedi in generale o sui dibattiti in corso, comunque dirò qualcosa, per quanto necessariamente generico, su entrambi gli aspetti.
Verso la fine del mio post dico una cosa che forse non è risultata chiara: sbarazzarsi criticamente proprio dell’ immagine, di quella particolare rappresentazione del conflitto di classe -per come la storia passata lo ha configurato- che ha il proprio centro nel comprensibile ma oggi ininfluente aspetto resistenziale.
“Resistere al potere” scrisse Lenin, in una particolarissima ed eroica congiuntura storica. Davvero una frase da leggere filosoficamente, in particolare oggi che la potenza non più il potere del Capitale è tutto intorno a noi. Del passaggio dal potere alla potenza spero di riuscire a scrivere prossimamente.
Come resistere alla potenza potrebbe anche essere un non resistergli. L’ esercizio della critica economico-politica per essere appropriato, per rimanere inequivocabilmente critico, non può nel fondo appartenere alla sfera dell’ economia politica. La critica dell’ economia politica, per rimanere nella tradizione, va esercitata ad ogni livello del dominio, anche nel senso di attenzione auto-critica.
Per questo considero il dibattito protezionisti libero-scambisti assolutamente fittizio, così come l’uscire o non uscire dall’ euro. Ritengo senza senso le molte considerazioni che sento riguardo ad un presunto socialismo cinese o venezuelano. Una agenda politica dettata dal dominio.
Sono molto interessato alla attuale non-rappresentabilità del conflitto nei termini in cui si pone nel presente-considerando inadeguata l’immagine di guerra di trincea di cui ho già detto- sia per la fitta rete di creazioni di micro-valore (fosse anche solo –illusoriamente- scrivere criticamente su un blog) che per la connessa vischiosa, inerziale e scettica fatalità che nega la sempre più possibile prospettiva storica di una reale trasformazione.
Dalla conflittualità imperialistica mondiale fin nell’intimo esistenziale, la massiccia alienazione unidimensionale si fa’ avvertita come assenza di senso della vita comunitaria e individuale, chi fa’ politica non pensi di potersi confrontare solo con dati materialistici, oggettivi in senso scientifico, a-dialettico, borghese del termine.
Come vedi sono rimasto all’interno del mio sfuggente idealismo, che mi tengo ben stretto quando in giro vedo mostruose chimere. Come ho scritto qualche volta, la teoria convincente sarà scritta di corsa sulla scia di stringenti avvenimenti e non certo a priori, essa dovrà avere di nuovo un orizzonte internazionale.
In questo senso sarà proprio la rete mondiale degli scambi capitalistici a portarla con sé. Permane il problema di una soggettività che dia cenni di reale autonomia.
Il punto di vista di Sebastiano sulla questione :
Devo rileggerlo per bene, ma sai che a prima botta … quasi quasi (ripeto quasi quasi) son d’accordo con lui? Ciao
PS: … ohibò!
Scorrendo con mouse mi si appaia, a puntamento, un -l’illuminato-….
… a Da? qui che abbia a che vedere con l’illuminazione ci son solo le bollette che tra un po’ non riesco più a pagare! 🙂
sarà un fascio di luce sulla nostra miseria allora !